20 - 2002 SICILIA

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Cambiate il cartografo

E’ il pomeriggio di Venerdì 20 settembre. Da Bergamo arrivano notizie di pioggia e freddo. Al Villaggio Zagarella di Bagheria i “nostri” si stanno invece godendo il sole canicolare che solo la Sicilia di quei tempi sa ancora regalare. Le bici sono già state caricate sul furgone e Ciccio, Emilio, Renzo e il Chiodo, dopo una veloce doccia, si sono ormai avviati, con il prezioso carico, verso l’imbarco di Palermo.
Da poche ore è stata “archiviata” la settimana ciclistica e i muscoli, martirizzati a furia di pigiare sui pedali per sette giorni (ma possibile neanche una pianura, solo salite e discese su quest’isola?), si stanno riposando ai bordi delle piscine di acqua salata. Appena sotto c’è il mare, caldo e invitante: non sarà quello della Sardegna, ma non è neppure quello di Milano Marittima!
Splasch. Il primo tuffo è di Gambirasio, poi si butta Piazzini, poi tutti gli altri, come i pinguini che vediamo a Quark quando si lanciano dalla banchisa. Contagiato dagli altri si lancia anche l’Amleto, che però si dimentica di avere, da un paio di giorni, il …soprassella scorticato, tanto da essere stato costretto a fare le ultime due tappe sul furgone. Mamma come brucia il sale. Dietro front.
Stravaccati sulle sdraio o seduti mollemente ai tavolini che circondano la piscina (un drink, please), un gruppo di turisti provenienti dalla Bretagna osserva con curiosità la nostra sexy abbronzatura, dal bicipite in su e da metà coscia in giù. Le ragazze francesi mi sembrano gnocche mica da ridere, ma nella percezione penso che giochino un ruolo non marginale ottocento chilometri pedalati e sette notti trascorse in camera con Gualandris e Crotti. Anche Bolognani e Bonacina mi confessano di provare le stesse sensazioni e allora forse è meglio, ancora per una notte, andare avanti con bacco, cassate e graniti. A Venere, se ce la facciamo, ci pensiamo domani.
A tavola si ripercorrono i momenti salienti della “settimana”, non prima di aver constatato che, tranne qualche piccolo incidente, tutti sono arrivati alla fine sani e salvi. E’ il ventesimo anno che la settimana viene organizzata ed è sempre andato tutto per il verso giusto. Evidentemente la sfiga non ce l’ha con i dipendenti della Popolare. A questo va aggiunto che, ad eccezione di un paio d’ore di pioggia nel corso della prima tappa, abbiamo sempre goduto di un sole splendente: San Falchetti, con il suo proverbiale fondello, ci ha protetto anche questa volta. Meglio di così…
Le attese sono tutte per la terza tappa, martedì, con l’ascesa dell’Etna, da Giardini Naxos al Rifugio Sapienza, a quota 1900, per il versante che sale da Zafferana Etnea. La salita all’Etna non è durissima, ma è lunga da morire e si fa sentire. Durissimi sono invece gli strappi che portano dalle parti di Zafferana e infatti dopo pochi chilometri i nostri sono già uno per parte. Un gruppetto sbaglia strada, sale a Linguaglossa e la allunga di quindici chilometri. I Pozzoli, ad un certo punto, girano il tandem seguiti da Seminati e rientrano alla base. Qualcuno, di cui non faccio nome, se ne era rimasto addirittura in albergo. Comunque in cima, bene o male, ci arrivano tutti. Pardon, quasi tutti, perché Fiorello, il Pantani della compagnia, quando è quasi in cima, prende il bivio sbagliato, cosicché anziché al Rifugio Sapienza arriva un po’ più in alto, al Rifugio della Forestale, dove non ricordavano, a memoria d’uomo, d’aver mai visto salire un ciclista. Un record.
La salita dell’Etna lascia il segno, anche perché il giorno prima lo strappo di Tindari (ne valeva la pena, che meraviglia il Santuario) e la Forcella Mandrazzi, quasi a milledue, avevano fatto la loro parte. Nessuno tuttavia si immagina cosa li aspetta il mercoledì, da Giardini Naxos a Enna. Il cartografo ha disegnato una cartina che prevede un chilometraggio consistente (139 chilometri), con una salita iniziale continua ma dolce fino in mezzo ai pistacchi di Bronte (massimo produttore mondiale, lo sapevate?), una leggera discesa fino a Enna Nuova e infine l’ascesa finale ai 948 metri di Enna Alta. La realtà è ben diversa.
La salita dolce fino a Bronte è un continuo susseguirsi di salitoni e discesoni, la leggera discesa è la stessa cosa, e cioè ancora salitoni e discesoni. In compenso l’ascesa a Enna è meno dura del previsto, ma se ne accorgono in pochi. I furgoni-scopa hanno cominciato da tempo a fare gli straordinari. Bracco, che da un po’ di chilometri barcolla come un pugile, si pianta in mezzo alla strada: se non lo raccolgono, anche al buio nel bagagliaio, da lì non si muove. (Il giorno dopo, ancora suonato, centrerà in pieno un cassonetto della monnezza in quel di Caltanissetta, sfasciando la bici ma restando illeso. Anche nella lingua, ahinoi). Riccardo e io, come presidente ed ex presidente, godiamo se dio vuole di qualche privilegio e veniamo caricati, a cinque chilometri dalla meta, sull’auto di servizio, anziché sul fondo del Transit.
Con le loro gambe, a tarda sera, arrivano invece i Pozzoli. Il giorno prima le hanno risparmiate evitandosi l’ultimo pezzo di Etna e oggi arrivano in cima fra l’ammirazione di tutti. La Rosi è quasi cadavere, oltre che incazzata con quel satrapo di marito, ma giustamente orgogliosa per l’impresa e ne ha ben donde: l’altimetro segna al termine della tappa 3900 metri di dislivello, come una tappa di quelle dure al Giro d’Italia. Dov’è andato a finire il cartografo, che era qui un momento fa …?
La consolazione è lo spettacolo che ci ha offerto l’Etna, che abbiamo praticamente circumnavigato per tre quarti. Un cono splendente, con gli aranceti alla base, e un nuvolone bianco, quasi artificiale, a forma di disco volante, a guisa di cappello. Che meraviglia la natura.
E’ sera alla Zagarella di Bagheria, qualche coppia balla attorno alla piscina, un paio di nostri tentano di cuccare nella fauna bretone. A Roby Gamba pare di riconoscere, in un uomo di mezza età ancora bene in arnese (e ben …accompagnato), Bernard Thevenet, vincitore di due Tour de France in piena epoca Merckx e attuale commentatore per Antenne 2. Lanzini conferma: è lui. Trenta secondi e sono là, con il mio stentato francese. Non capisce nulla di ciò che dico, ovviamente, ma conferma: il Thevenet della nostra giovinezza è proprio lui. E allora foto di gruppo. Ma si poteva finire meglio di così?
Il giorno dopo, in aereo, c’è il tempo degli ultimi ricordi. Cefalù, Taormina e il suo Teatro Greco, le Gole dell’Alcantara, la Valle dei Templi di Agrigento, il Duomo di Monreale. E anche i cannoli di ricotta (straordinari quelli di Enna), gli arancini di Giardini Naxos, le cassate soffici e gustose come quelle del commissario Montalbano, le graniti di limone.
A proposito, l’anno prossimo dove si va? A me va bene tutto, ma per carità, cambiate il cartografo….


Vittorio Serantoni

 


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